Mancano poche settimane ai referendum abrogativi dell’8 e 9 giugno 2025 e la tensione politica si è già accesa. Alcuni esponenti della maggioranza, a partire dal ministro degli Esteri Antonio Tajani, hanno scelto di schierarsi in modo netto: non con un Sì o un No, ma invitando gli italiani a restare a casa.
La strategia è chiara: puntare sull’astensione per far fallire il raggiungimento del quorum, l’unica vera soglia che conta in un referendum abrogativo. Se non si reca alle urne almeno il 50% più uno degli aventi diritto, la consultazione non sarà valida. E così, tacere sul merito dei quesiti e lavorare per la diserzione del voto diventa un modo per neutralizzarne gli effetti.
La posizione del governo Meloni e il richiamo a Napolitano
Il governo di Giorgia Meloni ha preferito non sostenere apertamente i quesiti referendari, che toccano temi sensibili come i diritti dei lavoratori e la cittadinanza. Tajani ha definito legittima la scelta di non andare a votare, ricordando come anche Giorgio Napolitano, nel 2016, avesse parlato dell’astensione come forma di dissenso. All’epoca, l’ex presidente della Repubblica spiegava che non partecipare al voto può essere una risposta politica a iniziative giudicate inconsistenti o pretestuose.
Questa lettura è tornata oggi per giustificare le dichiarazioni di Tajani e, ancor più clamorosamente, quelle del presidente del Senato Ignazio La Russa, che ha affermato senza mezzi termini: “Farò propaganda affinché la gente se ne stia a casa”. Parole che hanno alimentato le critiche, soprattutto da parte dell’opposizione e della CGIL, sindacato promotore di buona parte dei quesiti.
Craxi, l’astensione e il “precedente” del 1991
La chiamata all’astensione non è una novità nella politica italiana. Il caso più noto è quello di Bettino Craxi nel 1991, quando invitò gli italiani a disertare le urne con il celebre “andate al mare”. Nonostante l’appello, il referendum superò il quorum e segnò una svolta politica rilevante, mettendo in discussione il sistema elettorale della Prima Repubblica.
Quella lezione storica ricorda che l’astensionismo può anche rivelarsi un boomerang. Ma resta una strategia utilizzata da chi preferisce non entrare nel merito del confronto sui contenuti, confidando piuttosto nella scarsa partecipazione per far fallire la consultazione.
Il nodo tra diritto e dovere di voto
Dal punto di vista giuridico, invitare all’astensione non è illegale. L’articolo 75 della Costituzione prevede il quorum per la validità di un referendum abrogativo e l’articolo 48 parla del voto come di un “dovere civico”, ma senza renderlo obbligatorio. In Italia, nessuna legge punisce chi sceglie di non votare.
Tuttavia, la questione è squisitamente politica ed etica. È opportuno che ministri, parlamentari o presidenti delle istituzioni scoraggino la partecipazione democratica? È corretto che si faccia “propaganda all’astensione” quando si ricoprono ruoli di garanzia?
Sono interrogativi che vanno oltre la legge e che toccano il senso stesso della democrazia partecipativa. E che alimentano un dibattito destinato a intensificarsi nei prossimi giorni, man mano che si avvicina la data del voto.